PRIMA DEL TEMPORALE
di Maria Cristina Impagnatiello
Illustrazione di Giada Matteoli
Diana emerge dall’acqua.
La osservo brillare illuminata dagli ultimi raggi di un sole di inizio settembre, mentre sulla mia sdraio in seconda fila fingo di leggere un libro di Welsh.
All’orizzonte, oltre gli scuri e piatti frangiflutti, si staglia un temporale, bruno e gonfio. Un tuono rimbomba nell’aria, minaccia di spazzar via l’estate.
Diana accelera l’andatura, con le sue lunghe gambe solca la debole resistenza d’acqua che ancora la separa dalla battigia e, raggiunta la sabbia, affretta i suoi passi fino a raggiungere l’ombrellone accanto al mio, dove con un asciugamano tenta di coprire e scaldare la sua pelle ruvida e salata.
“L’ultimo bagno dell’estate”, le dico, cercando di incrociare i suoi occhi, ma lei rifugge il mio sguardo; un osservatore esterno lo definirebbe un eccesso di timidezza, ma io so che non è così.
E già provo nostalgia per qualcosa che so che sta per terminare, per una fine inevitabile che ha sconvolto anche l’aria, l’acqua e la gente.
Vorrei potermi alzare e far scivolare quell’asciugamano, scaldare con le mie braccia le sue, assaporare il suo fiato caldo contro il mio e convincermi che ci deve pur essere una speranza perché possa esistere un seguito a ciò che è stato.
Siamo fra i pochi rimasti in spiaggia, il sole già si nasconde tra le nuvole scure che lo inghiottono come spaventosi mangiafuoco.
I bagnini chiudono gli ombrelloni vuoti, qua e là dei ragazzi sorseggiano aperitivi, ma qualcosa si è spento: quell’euforia che all’inizio dell’estate sembrava travolgere tutti senza una logica spiegazione, e che aveva coinvolto anche noi, due giovani ignari della sua potenza, entrambi incoscienti della passione che ci avrebbe travolti a discapito delle nostre rispettive storie, che con tutte le forze ci siamo affannati a tutelare.
E ci siamo riusciti, non c’è dubbio. Una distanza glaciale si è interposta fra noi, la stessa che allontana i suoi occhi dai miei, ogni volta.
Diana ripiega l’asciugamano nella borsa e si avvia verso la sua cabina, è finita, penso, devo fare qualcosa, quasi dico, ma lei mi precede e mi sfiora un braccio, senza fermarsi.
È un invito a seguirla, o forse l’ho solo immaginato? Non lo so, ma so che vale la pena rischiare, cercarla, toccarla ancora una volta. Seguo la sua sagoma abbronzata che sale le scale che portano alle cabine fino a quando scompare dentro una di esse, lasciando la porta socchiusa.
Ormai non ho più dubbi, mi guardo intorno ma non c’è nessuno, nessuno che si accorga di noi. L’aria sta diventando più fresca, una brezza pungente si fa largo tra gli ultimi scampoli d’afa, la chiudo alle mie spalle e mi trovo di fronte a lei.
“Diana”, dico, ma lei suggella le mie labbra con le sue dita, sento il suo costume bagnato contro la mia pelle, che scivola giù insieme a quel che resta di un’inutile resistenza, lei mi spoglia e mi accoglie in ginocchio. “Mi sei mancato”, sussurra, fra un respiro e l’altro, la faccio alzare e la giro di spalle, la mia mano fra le sue gambe è subito bagnata, è la stessa che uso per accarezzare la sua faccia e che lei accoglie nella sua bocca. “Siamo collegati ora”, mi dice, mentre entro dentro di lei e so che è lì che devo stare; dentro e fuori il suo corpo caldo, mentre un vento che sa di pioggia si insinua fra le fessure legnose della cabina e si mescola agli odori dei nostri corpi, mentre lecco la sua pelle che non è più ruvida, ma sudata e calda.
È completamente mia per quegli ultimi minuti; so già che è un’illusione, una sensazione evanescente che dura quanto un tuono, ma sentire di possederla mentre stringo il suo corpo mi accende e mi spegne, mi accende e mi spegne fino a finirmi, completamente, dentro di lei.
Lentamente recupero e indosso il mio costume accartocciato, lei si infila un vestito leggero a coprire la sua pelle nuda, saperlo mi eccita ancora, provo a sfiorarla, lei mi risponde con uno sguardo stavolta davvero imbarazzato. “Usciamo”, dice, e raccoglie la sua borsa.
Le nuvole gonfie sono sempre più vicine, il vento soffia e si infuria intorno a noi. Lei ha tutti i capelli in faccia in quell’aria sempre più scura che sembra voglia proteggerci, e che invece ci allontana.
“Devo andare”, mi dice, socchiudendo le sue labbra che qualche istante prima erano piene di me, sembra un invito a un bacio ma so che è un addio. Diana si gira e si avvia verso l’uscita, senza voltarsi mai. La osservo scomparire proprio come il sole, catturata da una vita che non mi appartiene più.
Torno al mio ombrellone e raccolgo le mie cose, non c’è più nessuno intorno a me, anche la strada alle mie spalle è deserta, orfana degli ultimi incalliti sostenitori della passeggiata sul lungomare.
E mentre sento la sabbia alzarsi e il suo sapore croccante che si insinua sotto i miei denti, osservo un’ultima volta il mare argenteo e calmo, consapevole che anche lui sta per cedere alla tempesta e trasformarsi in una distesa violenta e impetuosa. Non potrai resisterle, penso, non ci riuscirai.
È meglio andare, dico a me stesso, prima che mi travolga il temporale.
DA DOMENICA 11 LUGLIO
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